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Quando "scrivere sul wall" voleva proprio dire "scrivere sui muri"

Ripresa anche dalla "Fedeltà" la ricerca storiografica della classe V A del Liceo linguistico sulla propaganda fascista a Fossano

In via Lancimano, sulla facciata dell’edificio collocato di fronte al bar Balocco, compare un motto di epoca fascista, ormai pressoché illeggibile. Si tratta di uno dei tanti esempi di iscrizioni, motti e citazioni diMussolini che in epoca fascista costellavano la città di Fossano, come tutte le altre città d’Italia.


La classe quinta A Linguistico del Liceo Ancina, nell’ambito delle lezioni sulle tecniche di propaganda messe in opera dai regimi totalitari, ha provveduto a compiere un sopralluogo per verificare se fosse possibile ricostruirne il testo originario, avendo cura di consultare preliminarmente il dottor Luca Bedino, referente dell’Archivio storico di Fossano, per conoscere la destinazione d’uso dell’edificio ai tempi del Ventennio.


«L’edificio venne utilizzato dal Partito Nazionale Fascista come sede del “dopolavoro”, nonché come “casino” per il ritrovo di ufficiali, gerarchi e una parte della piccola borghesia locale», ha precisato il dottor Bedino. «Nello stesso edificio avevano sede la scuola di musica cittadina e la banda musicale Arrigo Boito.

Di simili “moniti morali”, legati al regime, oppure antecedenti e connessi allo spirito bellico, si fregiavano anche le pareti del castello, o la caserma Bava ora sede del Liceo Ancina, stando ad alcune fotografie d’epoca; lo stesso stabile di via Lancimano fu annesso, in un passato lontano, al complesso del quartiere militare, unitamente alle caserme settecentesche in seguito demolite».


Partendo dai frammenti di testo ancora leggibili, la classe ha accertato che lo slogan sull’edificio di via Lancimano riporta l’estratto di un discorso che Mussolini pronunciò a Roma il 27 ottobre 1930, rivolgendosi ai direttori federali del partito.

Il motto, restituito alla sua forma originaria, recita così: “Chi non è pronto a morire per la sua fede non è degno di professarla”. Dalla sua formulazione si comprende bene come il regime fascista tentò, attraverso una propaganda pervasiva, di attivare nelle menti degli italiani le dinamiche proprie della fede, elevando il fascismo a religione civile e Mussolini a divinità terrena. Il vero fascista, al pari del vero credente, doveva dunque essere pronto a dare la vita per il proprio credo: da questo si sarebbe misurato il suo valore, e non dalle sue manifestazioni di semplice ossequio al regime. Imporre il fascismo come fede significava, di fatto, sottrarlo a qualsiasi possibile critica, che avrebbe inevitabilmente assunto caratteri assimilabili a quelli dell’eresia.

Al termine della ricerca, la classe ha provveduto a un “restauro grafico” dello slogan, materialmente eseguito dall’allieva Rebecca Giorgis. Il risultato del lavoro viene qui presentato insieme alla foto originaria.

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